Azur -biondo, occhi azzurri e limpidi - e Asmar -moro, occhi scuri e profondi- sono rispettivamente il figlio di un frebbo nobile francese e il figlio di una dolce e tenera balia saracena. Ella li cresce entrambi come fratelli, insegnando loro l'amore e il rispetto e raccontando loro bellissime storie sulle terre oltre il mare da dove lei giunse anni prima. Una leggenda, in particolare, fa fantasticare i bambini: entrambi desiderano liberare dalla sua prigione di cristallo la Fata dei Jinn e sposarla.
I bambini crescono, giocando e litigando.
Un giorno il padre di Azur decide di dividerli e di scacciare la nutrice e il figlio. Essi faranno ritorno alla loro terra di origine e Azur, una volta adulto, non avendoli mai dimenticati, cercherà di raggiungerli.
Qui inizia l'avventura di Azur; una fiaba dal sapore di altri tempi eppure, dai contenuti molto attuali.
Michel Ocelot, regista e sceneggiatore, senza retorica riesce a parlarci delle differenze fra due civiltà e culture, quella occidentale e quella islamica. Differenze che, come ci insegna la nutrice fin dall'inizio del film, possono essere appianate con la reciproca conoscenza e la tolleranza.
Michel Ocelot, regista e sceneggiatore, senza retorica riesce a parlarci delle differenze fra due civiltà e culture, quella occidentale e quella islamica. Differenze che, come ci insegna la nutrice fin dall'inizio del film, possono essere appianate con la reciproca conoscenza e la tolleranza.
Oltre a tutte le filosofie, quest'opera è un caleidoscopio di colori, con inquadrature che ci ricordano l'arte fiamminga per i dettagli floreali e l'architettura moresca per le elaborate decorazioni dei palazzi.
Non è Pixar, non è DreamWorks, è qualcosa di diverso.
Secondo me da vedere.